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livio partiti
« novembre 2013 | Principale | gennaio 2014 »
Conversazione di Livio Partiti con Claudio G. Fava
Credo che tutti i fedeli cinetelespettatori di un tempo - intendo coloro che sono/erano appassionati di cinema e devotamente guardavano i film che la tv proponeva - si ricordino di un gentiluomo e grande esperto della tv di Stato che si chiamava (e si chiama anche adesso che si è ritirato in pensione nella sua Genova) Claudio G. Fava.
Era un critico cinematografico divertente e spiritoso, efficace e sapiente ma sempre giocoso. Che ha dato ai cinetelespettatori perfette presentazioni di classici, da Il grande sonno a La guerra lampo dei fratelli Marx, da La regola del gioco a I migliori anni della nostra vita. E che nascondeva (ma non troppo) una passione segreta: gli eserciti, i soldati, i soldatini di piombo e di carta, le uniformi, di cui sapeva tutto e di più. Tanto che un anno, tornando dal Festival di Cannes, ricordo di aver contribuito alla sua collezione con una stampa raffigurante dei soldatini napoleonici.
Mi chiedo se il fatto che adesso Claudio G. Fava ritorni tra noi con un bel volume edito da Le Mani, Guerra in cento film (pp. 240, euro 18) non sia collegato a quella antica passione.
Fatto sta che in questi cento film, da All'Ovest niente di nuovo a The Hurt Locker, e quindi dal 1930 ad oggi, selezionati in modo molto personale secondo regole autoinflitte (mai più di un titolo per autore, con l'eccezione dei due film speculari di Eastwood, Flags of Our Fathers e Lettere da Jwo Jima; nessun film per conflitti anteriori alla prima guerra mondiale e altre limitazioni denunciate nell'introduzione), l'autore immette tutta la sua sapienza. Non tanto di critico - con tanta storia e tanta critica alle spalle è difficile dire cose sorprendenti - ma, ancora una volta, di esperto e di curioso che ci fornisce non solo i diversi umori culturali che passano sotto le immagini belliche, ma il testo in un contesto più ampio. Un esempio? La scheda su Parigi brucia. Dove, invece, Fava non convince fino in fondo è nella traduzione del titolo The Hurt Locker (La cassetta del dolore). Andate a vedere sul sito wordreference.com. Stanno ancora discutendo in più lingue su cosa il titolo del film premio Oscar di Kate Bigelow significhi esattamente. Forse sarebbe bene chiederlo a lei.
Irene Bignardi
«Il Venerdì di Repubblica» 11 giugno 2010
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Sin dagli inizi il cinema, prima muto e poi sonoro, predilesse l’argomento della guerra. Non è facile riassumere in 100 titoli l’enorme apporto nel cinema e del cinema sulla volgarizzazione e la retorica dei conflitti. È questo, forse, uno dei temi più difficili in assoluto che i film possano affrontare, dato che alla base stessa della guerra e della sua descrizione risiede la paura. Sentimento quasi impossibile da ricreare artificialmente sui volti dei protagonisti, dei caratteristi e delle comparse. Nonostante questo elemento di fondo, una minoranza di opere riesce, almeno in parte, a restituire la terribile occasione di vita e di morte che fisiologicamente è presente in un conflitto e che, a parte il cinema, anche alcuni grandi romanzi ci hanno offerto. In questo libro si tenta un censimento che l’autore stesso riconosce essere forzatamente incompleto e, per paradosso, implicare semmai l’esigenza di un “sequel”. Ad esempio qui, per ragioni di spazio, sono stati evocati solo i film che prendono occasione dalla prima guerra mondiale. Rinunciando perciò a quell’importante magazzino che va dalle guerre dell’antichità, via via sino a quelle dell’Ottocento, ed alle magnifiche descrizioni della vita militare, in particolare del XIX° Sec., di cui siamo debitori a tanti registi, a cominciare dal grande John Ford. Inoltre, Fava ha scelto di analizzare un solo film per regista, limitandosi a citare altri eventuali titoli, ovviamente dello stesso autore, all’interno del testo consacrato al film considerato "principale" (con l’unica eccezione delle due opere "giapponesi" di Clint Eastwood).
IL POSTO DELLE PAROLE
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Conversazione di Livio Partiti con Alessandra Appiano
ALESSANDRA APPIANO
"SOLO UN UOMO"
GARZANTI EDITORE
La luce dell'alba trafigge le finestre socchiuse. È tutta la notte che Alice non dorme, continua a leggere i fogli sparsi di fronte a sé. Due buste, una rossa e una bianca, sono le uniche cose che la sua migliore amica, Camilla, le ha lasciato prima di sparire senza nessuna traccia.
Camilla, donna di spettacolo e scrittrice di successo, è sempre stata il punto di riferimento di Alice dal giorno in cui si sono conosciute, ancora ragazzine, sulla battigia dorata di una spiaggia ligure. Cieli stellati, confidenze sussurrate, risate liberatorie, lacrime asciugate da dolci consigli le hanno accompagnate in tutti questi anni insieme. E ora Alice, madre single che non ha mai avuto il coraggio di vivere e scoprire davvero l'amore, si sente impaurita dal mare di solitudine che l'assenza di Camilla le spalanca di fronte agli occhi. Ma l'amica non l'ha lasciata completamente sola, perché nelle buste si nascondono piccoli indizi che svelano la verità sulla sua scomparsa. Indizi che la conducono a ripercorrere a ritroso tutte le storie passate di Camilla.
Uomo dopo uomo, Alice mette insieme le tessere del mosaico del cuore di Camilla.
Fino all'ultimo uomo, colui che, forse, le può svelare la verità. Perché Camilla le vuole regalare il dono più grande che un'amica può fare: due ali per volare verso la libertà.
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Alessandra Appiano, dopo aver raggiunto la notorietà con il suo primo romanzo Amiche di salvataggio (vincitore del Premio Bancarella 2003), ha pubblicato, tra gli altri titoli, Domani ti perdono, Scegli me, Le vie delle signore sono infinite, Le belle e le bestie, tradotti in Francia, Germania, Portogallo, Russia, Polonia, Lituania e Spagna. Autrice di numerose trasmissioni televisive, collabora con varie testate giornalistiche e cura su «Donna Moderna» la rubrica Amiche di salvataggio. Con Garzanti ha pubblicato anche Il cerchio degli amori sospesi.
IL POSTO DELLE PAROLE
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Conversazione di Livio Partiti con Remo Bodei
REMO BODEI
"IMMAGINARE ALTRE VITE"
Realtà, progetti, desideri
FELTRINELLI EDITORE
Per sfuggire agli orizzonti ristretti entro cui sarebbe confinata la nostra esistenza ci serviamo della immaginazione, alimentata dal confronto non solo con persone reali, ma anche con figure tratte dai testi letterari e dai media. Grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie della comunicazione, ciascuno dispone oggi, fin dall’infanzia, di un enorme repertorio di modelli di vita e di esperienza, tratti da differenti culture, che ne modificano le maniere di fantasticare, pensare e agire. Nel passato, oltre ai genitori e alla limitata cerchia dei conoscenti, i personaggi esemplari erano relativamente pochi e circonfusi di gloria: sovrani, condottieri, fondatori di religioni, santi, poeti o filosofi. Da quando i modelli con cui identificarsi si sono inflazionati, popolandosi di celebrità, la costruzione di un io autonomo, capace di inglobare l’alterità e di arricchirsi per suo tramite, è diventata più incerta. L’identità individuale, ibrido frutto d’imitazione e d’invenzione di sé (che si orienta attraverso la tacita domanda “chi vorrei essere?”), da un lato, si indebolisce allorché i modelli, diventando effimeri, perdono d’autorità; dall’altro, quasi per compensazione, esige per il soggetto maggiore visibilità e riconoscimento. Ma, se ognuno è connesso ad altre esistenze e capace di racchiuderne molte, non corre forse il rischio di perdere la propria consistenza e di trasformare l’immaginazione, più che in un fattore di crescita, in un trastullarsi inoperoso o, peggio, in un nocivo strumento di fuga dal mondo e di paralisi della volontà? Come smorzare allora l’oscillazione tra il rispetto dei vincoli imposti dalla realtà e la logica dei desideri tesi a sovvertirla? Come il fatto di immaginare altre vite può incidere sulla politica in un periodo in cui si acuisce la percezione della precarietà e vulnerabilità dell’esistenza e in cui si riduce la possibilità di progettare sensatamente il futuro?
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Remo Bodei (Cagliari, 1938) ha insegnato Storia della filosofia all’Università di Pisa, ha studiato e insegnato in diversi atenei europei e americani, e attualmente insegna filosofia alla Ucla di Los Angeles. Tra le sue opere, tradotte in diverse lingue: Scomposizioni (1987), Ordo amoris (1991), Le forme del bello (1995), La filosofia del Novecento (1997), Il noi diviso (1998), Le logiche del delirio (2000), La vita delle cose (2009), Ira. La passione furente (2011) e con Feltrinelli Geometria delle passioni (1991), Filosofia ed emozioni (con Eugenio Lecaldano, Simone Gozzano, Tito Magri e Clotilde Calabi; 1999), Destini personali (2002, Premio nazionale Padula città di Acri sezione saggistica 2003) e Immaginare altre vite (2013). Ha curato nei “Classici” Feltrinelli Sul tragico (1994) di Hölderlin e ha scritto l'introduzione a Uno, nessuno e centomila (2007) di Pirandello.
IL POSTO DELLE PAROLE
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Conversazione di Livio Partiti con Sandra Petrignani
SANDRA PETRIGNANI
"IL CATALOGO DEI GIOCATTOLI"
Storia di un'infanzia
BEAT EDIZIONI
Pezzi di materia che si animano, attrezzi da lavoro dei nostri primi anni, i giocattoli ci raccontano qualcosa di come eravamo quando loro erano i nostri bizzosi, amatissimi dèi: la carabina col tappo che emetteva un rumore secco, quasi lo schiocco di un bacio, le automobiline a chiavetta con il suono di ranocchia, l’universo dei pianeti marini nelle biglie disseminate sul letto, i birilli come biberon, con quel nome da capitombolo... Oggi li osserviamo con un misto di nostalgia, inquietudine e una punta di crudeltà. Eppure, i sessantacinque giocattoli descritti in questo libro non seguono un pretesto semplicemente memorialistico. Demoni e angeli custodi, depositari di antichi incanti, paesaggi, odori, «vampiri commedianti che di notte vegliano sui bambini derubandoli momentaneamente della vita», i giocattoli, chiamati a raccolta in questo libro, ci restituiscono l’infanzia come una possibilità eterna, una bacheca colorata, allegra e scintillante, un «cosmo meraviglioso» che chiede di essere esplorato in ogni momento della nostra vita.
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Sandra Petrignani vive a Roma e nella campagna umbra. Nel catalogo Neri Pozza figurano: il fortunato La scrittrice abita qui, pellegrinaggio nelle case di grandi scrittrici del ‘900; i racconti di fantasmi Care presenze; il libro di viaggio Ultima India e il recente bestseller Addio a Roma.
IL POSTO DELLE PAROLE
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Conversazione di Livio Partiti con Cristiano Cavina
CRISTIANO CAVINA
"INUTILE TENTARE IMPRIGIONARE SOGNI"
MARCOS Y MARCOS
All'istituto tecnico Alberghetti non suona la campanella. Una sirena da contraerea urla la fine dell'ultima ora. Confittoni è preoccupato: ha un intorto con una tipa di ragioneria e non può certo presentarsi con quella felpa piena di scheletri e simboli satanici.
La tipa che lo aspetta insegna catechismo. Oscar Rosini, sultano dei pluriripetenti, si impietosisce: con gesto fluido da torero si sfila il fedele montoncino e lo drappeggia
sulla felpazza dannata. Con le falde del montoncino svolazzanti e un sorriso immenso, Confittoni saltella verso il suo intorto. Creonti e Figna lo guardano invidiosi dal cancello. Vittime predestinate del rientro pomeridiano, restano lì a rollare canne con una mano sola. Confittoni torna in ritardo, con un occhio nero e il montoncino insanguinato.
A Creonti viene in mente la vicina del piano di sopra, che ha visto in cortile con il labbro spaccato e una ciabatta sola. Forse è per quello che si muove per primo.
Aggrappato al piano b più scricchiolante del mondo, sfidando gli anatemi del vicepreside baffuto in tuta verde, affronta campioni della pace arcobaleno che ti stampano otto punti di sutura sulla fronte. Non l'ha proprio scelto, Creonti, ma ormai c'è dentro fino al collo.
C'è un torto da vendicare, e molto di più. Ci sono sogni che non puoi mettere in gabbia e cuori che si spezzano. Ci sono cose che non cambiano. C'è una libertà, almeno una, che non ci faremo togliere. La libertà di scegliere che cosa cantare.
In forma strepitosa, Cavina ci parla d'amore: dei gioielli veri e fragili di un momento, di monete false e di bigiotteria.
Con la dolcezza di un cantastorie, scena dopo scena, trasforma aule di scuola in una giungla misteriosa, e tra scimmie, avvoltoi e pantere ci porta fin là, in una piccola cucina, dove una verità semplice, senza pretese, illumina gli occhi dietro un ferro a vapore.
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IL POSTO DELLE PAROLE
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Conversazione di Livio Partiti con Giovanni Gasparini
GIOVANNI GASPARINI
C'E' SILENZIO E SILENZIO
Forme e Significati del Tacere
MIMESIS EDIZIONI
l silenzio non è opposto alla parola ma complementare ad essa: il tacere non va considerato soltanto come una privazione rispetto all’espressione verbale ma anche come un esercizio attivo di comunicazione da parte di un soggetto. Per porsi in questa prospettiva diventa importante descrivere e interpretare le diverse modalità e significati che il silenzio assume a seconda dei contesti e delle contingenze. Il volume esplora tali differenti forme di silenzio attingendo alla socio-antropologia della vita quotidiana, alla filosofia e alla letteratura. L’ultima parola sul silenzio viene lasciata alla poesia.
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Giovanni Gasparini docente di sociologia (Università Cattolica di Milano) e scrittore, ha al suo attivo oltre quaranta volumi, di cui circa metà nelle scienze sociali e metà in poesia e letteratura. Tra gli ultimi suoi lavori si ricordano il volume di racconti Tempo di Natale (2010), il saggio Tous azimuts – Il senso della scrittura (2011) e la raccolta di poesie Melting pot (2012). Al tema del silenzio ha dedicato numerosi saggi e una parte del volume Sociologia degli interstizi (1998). È tra i fondatori dell’Accademia del Silenzio.
Le parole, dopo il discorso, giungono
Al silenzio. Solo per mezzo della forma, della trama,
Possono parole o musica raggiungere
La quiete, come un vaso cinese ancora
Perpetuamente si muove nella sua quiete.
Eliot 1982 "Burnt Norton"
IL POSTO DELLE PAROLE
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Conversazione di Livio Partiti con Paola Eusebio
ANTEPRIMA COLLISIONI 2014
DEEP PURPLE
NEIL YOUNG
Il festival Collisioni 2014 a Barolo, in provincia di Cuneo, segna il ritorno di due pietre miliari del rock per due eventi unici in Italia. Il festival di estival di letteratura e musica in collina che ormai da cinque anni raduna nelle Langhe migliaia di spettatori, ha infatti annunciato gli headliner della nuova edizione, dal 18 al 21 luglio 2014.
Venerdì 18 luglio inaugureranno i 4 giorni di festival i Deep Purple, storica formazine tra i maggiori esponenti dell'hard rock made in Uk, a un anno dal tour che li ha portati in Italia la scorsa estate per tre date a MIlano, Roma e Majano.
Chiuderà lunedì 21 luglio Neil Young con i Crazy Horse: il cantautore canadese e la sua band, che l'anno scorso si sono trovati a dover annullare alcune date del tour a causa di un incidente alla mano del chitarrista Frank Sampedro, hanno mantenuto l'impegno preso con i fan di tornare in Europa, e dopo il passaggio del 2013 al Summer Festival di Lucca e a Roma, si esibiranno per la prima volta in Piemonte.
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Conversazione di Livio Partiti con Enrico Bertone
ENRICO BERTONE
"MONVISO"
Storia Letteratura Ambiente Alpinismo Cultura Tradizioni
PRIULI & VERLUCCA
Nei tempi antichi quando le alte montagne non avevano ancora gli attuali nomi lui era il Mons Vesulus –il monte visibile – in quanto la sua punta svettando verso il cielo, nelle giornate limpide era riconoscibile anche da terre lontane che superavano i confini del Piemonte.
È il Monviso: il padre del fiume più lungo d’Italia, custode della prima galleria delle Alpi aperta nel XV secolo, uno dei primi monti ad essere citato nelle antiche carte geografiche e l’unica vetta delle Alpi ad essere indicata nei mappamondi quattrocenteschi, il monte che ispirò scrittori e studiosi antichi: Dante, Petrarca, Leonardo e tanti altri.
Occupò uno spazio importante anche nella storia dell’alpinismo. Fu durante la salita alla vetta del Monviso, della prima spedizione italiana avvenuta il 12 agosto 1863, che al grande statista Quintino Sella maturò l’idea di creare un sodalizio alpinistico: il 23 ottobre di quello stesso anno a Torino venne fondato il Club Alpino.
Oggi il Monviso offre vie alpinistiche di tutti i gradi di difficoltà e vie escursionistiche di straordinario interesse, all’interno di un ambiente naturale, a cavallo tra Italia e Francia. Nel 2013 è stato riconosciuto dall’Unesco come «Riserva della Biosfera».
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Enrico Bertone è nato il 10 maggio 1954 a Bagnolo Piemonte (Cn).
Ricercatore e appassionato fotografo, è da anni impegnato nello studio e nella documentazione della cultura delle Alpi Occidentali e della pianura sottostante, con particolare attenzione alla cultura contadina. Su questi argomenti ha pubblicato articoli, partecipato a convegni e collaborato con gruppi e associazioni, ha contribuito alla pubblicazione di diversi volumi e ha collaborato con riviste e testate specializzate.
Nel 1998 ha pubblicato il volume fotografico Con la spada e con la croce. Antiche feste delle Alpi Cozie con la Sagep di Genova.
Ha collaborato all’edizione del Bollettino dell’Atlante Linguistico Italiano dell’Università di Torino nel 2000.
Con Blu Edizioni di Torino ha pubblicato due volumi su esperienze dirette vissute nel secolo scorso: Sei storie di tempi difficili nel 2002 e Quegli anni del Novecento nel 2004.
È coautore dell’opera Cultura contadina in Piemonte, in tre volumi, edita da Bonechi di Firenze nel 2008-2009.
È coautore con Gian Vittorio Avondo di Grazia Ricevuta, n 92 della collana Quaderni di cultura alpina, Priuli & Verlucca 2010.
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Conversazione di Livio Partiti con Valentina D'Urbano
È un mattino di pioggia gelida quello in cui Fortuna torna a casa. Sono passati dieci anni dall’ultima volta, ma Roccachiara è rimasto uguale a un tempo: un paesino abbarbicato alle montagne e a precipizio su un lago, le cui acque sembrano inghiottire la luce del sole. Fortuna pensava di essere riuscita a scappare, di aver finalmente lasciato il passato alle spalle, spezzato i legami con ciò che resta della sua famiglia per rinascere a nuova vita, lontano. Ma nessun segreto può resistere all’erosione dell’acqua nera del lago.
A richiamarla a Roccachiara è un ritrovamento, nel profondo del bosco, che potrebbe spiegare l’improvvisa scomparsa della sua migliore amica, Luce. O forse, a costringerla a quel ritorno è la forza invisibile che, nonostante tutto e tutti, ha sempre unito la sua famiglia: tre generazioni di donne tenaci e coraggiose, ognuna a suo modo. E forse, questa volta, è giunta l’ora che Fortuna dipani i segreti nascosti nella storia della sua famiglia. Forse è ora che capisca qual è la natura di quella forza invisibile, per riuscire a darle un nome. Sperando che si chiami amore.
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"Dieci anni senza mai tornare.
Quando arrivo è quasi mattina e piove, una pioggia di traverso, gelida, che ti taglia la faccia.
A Roccachiara è sempre così. Fa freddo e piove, oppure l’umidità è talmente densa che fa lo stesso, è come se piovesse.
Mi incammino per la via principale del paese e tutto è uguale a come mi ricordavo, sembra una fotografia, non cambia mai. Le case costruite una addosso all’altra, le inferriate dei negozi ancora chiusi, le stesse insegne di trent’anni fa. Le strade strette e desolate, i vicoli con le fioriere appese accanto alle porte.
Non c’è nessuno, solo la pioggia.
Tutto il resto è il silenzio.
Dicono che tutto questo silenzio provenga dal lago. Si solleva come nebbia, si spande per il paese, soffoca tutti i rumori."
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Conversazione di Livio Partiti con Letizia Muratori
LETIZIA MURATORI
"COME SE NIENTE FOSSE"
ADELPHI
A un narratore è prudente non chiedere mai di raccontare la sua vera storia: quantomeno si innervosisce. La protagonista di questo romanzo non fa eccezione e, se potesse scegliere, continuerebbe a nascondersi come sempre dietro invenzioni, personaggi e «suoni corti, urgenti, che servono soprattutto a far capire agli altri se sto bene o se sto male». Invece, per ragioni alimentari, accetta di tenere un seminario che, primo, ha per oggetto una disciplina neonata e vagamente grottesca, la «lettura creativa», e secondo, ha come destinatari gli uditori meno accomodanti: un gruppo di vecchi amici, riemersi da un passato non del tutto limpido. A questo piccolo pubblico, inaspettatamente, la scrittrice finirà per raccontarla davvero, la storia perturbante e per nulla gradevole che i suoi allievi credevano di voler ascoltare. Il risultato è una commedia amara e tagliente, in cui ogni battuta e ogni silenzio hanno un peso.
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Conversazione di Livio Partiti con Domenico Piraina, direttore Palazzo Reale, Milano
WARHOL
PALAZZO REALE, MILANO
FINO AL 09 MARZO 2014
Andy Warhol dalla Brant Foundation è un occasione rarissima per il pubblico di poter vedere uno dei gruppi di opere più importanti dell’artista Americano padre della Pop Art, raccolto non da un semplice collezionista, ma da un personaggio, Peter Brant, intimo amico di Warhol con il quale ha condiviso gli anni artisticamente e culturalmente più vivaci della New York degli anno ’60 e ’70. Ancora ventenne nel 1967 Peter Brant acquistò la sua prima opera di Warhol, un disegno della famosa Campbell’s Soup, iniziando quella che sarebbe diventata una delle più importanti collezioni di arte contemporanea del mondo.
La mostra, Prodotta dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, Palazzo Reale, 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE e Arthemisia Group, curata da Peter Brant e Francesco Bonami, presenta oltre 150 opere, tele, fotografie, sculture che fanno parte della Brant Foundation e raccontano una storia intensa ed uno scambio culturale unico fra il giovane collezionista e l’artista. Un incontro dal quale nascerà un sodalizio unico dal quale sfocerà la mitica e rivoluzionaria rivista Interview fondata da Warhol stesso nel 1969 e che Brant acquisterà con la sua casa editrice subito dopo la morte dell’artista nel 1987.
La mostra parte dai primi disegni del Warhol illustratore per finire con le spettacolari Ultime Cene e gli autoritratti passando attraverso le opere più iconiche come le Electric Chairs, il grande ritratto di Mao, i fiori e uno dei più famosi capolavori di Warhol, Blue Shot Marilyn, il ritratto della famosa attrice Americana con in mezzo agli occhi il segno restaurato di un dei colpi di pistola esploso da un’amica dell’artista nel 1964, che Brant avrebbe poi acquistato per 5000 dollari nel 1967 con i proventi di un piccolo investimento. Attraverso capolavori e opere altrettanto sorprendenti ma meno conosciute, come una serie di Polaroid mai viste prima in Europa, la mostra della Brant Foundation non racconta semplicemente il Warhol star del mondo dell’arte e del mercato ma anche il Warhol intimo, l’amico, l’uomo.
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Conversazione di Livio Partiti con Ubaldo Rosso,
direttore artistico Festival Cambi di Stagione
L’inverno del festival internazionale Cambi di Stagione della Fondazione Bottari Lattes si apre ai Lieder tedeschi, all’opera lirica e alla magia della musica celtica e dei canti delle fate amati dai più piccoli. Sabato 14 e domenica 15 dicembre 2013 il Trio Lyrics e il duo Enrico Euron e Anne–Gaëlle Cuif salgono sul palcoper concludere gli appuntamenti della IV edizione della rassegna musicale che ha ospitato nel corso dell’anno artisti di fama internazionale come Guillermo Fierens (Argentina), Jukka Savijoki (Finlandia), Martin Haug (Norvegia), il Quartetto d’archi Rimskij-Korsakov di San Pietroburgo (Russia) e l’Orchestra da Camera dell’Opera di Montecarlo (Principato di Monaco).
Il festival, che ha preso il via a marzo, registrando il tutto esaurito nei suoi appuntamenti primaverili, estivi e autunnali, è organizzato dalla Fondazione Bottari Lattes di Monforte d’Alba e dall’Associazione Amici della Musica di Savigliano (Cn), insieme con l’Associazione Premio Bottari Lattes Grinzane. La quarta edizione porta la firma del direttore artistico Ubaldo Rosso, flautista e docente.
Il primo appuntamento dell’inverno sarà sabato 14 dicembre (ore 21) con il Trio Lyrics, formato dalla soprano Annamaria Dell’Oste, dal clarinetto Claudio Mansutti e dal pianoforte Ferdinando Mussutto. Il trio sarà impegnato nel caleidoscopico programma Arie & Lieder, che metterà a confronto la serena linearità dei Lieder tedeschi con la creatività espressiva delle grandi romanze operistiche. Di Edward Grieg (1843-1907) proporranno Ich liebe dich op. 5 n° 3 (per soprano e pianoforte), Solvejgs Lied op. 23 (per soprano e pianoforte) e Vom Monte Pincio op. 39 n°1 (per soprano e pianoforte). Di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) suoneranno una Mozartiana (per soprano, clarinetto e pianoforte) con arie da Don Giovanni, Le nozze di Figaro e Così fan tutte. La serata procederà con Der Hirt auf dem Felsen D 965 (per soprano, clarinetto e pianoforte) di Franz Schubert (1797-1828). Concluderà il programma la Suite Opera Italiana di Valter Sivilotti (1961) con arie da Un ballo in maschera, La traviata, La bohème e Don Pasquale.
Domenica 15 dicembre (ore 17) il concerto I canti delle fate concluderà il festival. L’arpa celtica ricreerà le atmosfere fiabesche e magiche delle leggende nordiche del diciassettesimo secolo, in pieno clima natalizio: un’occasione per avvicinare alla musica colta anche i più piccoli che insieme ai genitori potranno immergersi nelle storie e sonorità legate al popolo delle creature fatate. Gli arpisti Enrico Euron e Anne–Gaëlle Cuif (Francia) proporranno nove brani in scaletta: Fairy’s Love Song, The Coulin, King of the Fairies, Monaghan Jig, Scarborough Fair, Miss Gordon of Gight, Greensleeves, My Donald, Fairy’s Jig.
Compositore, musicista, ricercatore, Enrico Euron è una delle figure più importanti nel panorama europeo dell’arpa celtica. Nei suoi concerti racconta agli ascoltatori i particolari e le origini della musica eseguita, spesso con aneddoti divertenti, creando un’atmosfera unica, sospesa tra la musica, il racconto e il fascino delle antiche leggende.
A conclusione del concerto, il festival augurerà buone feste agli spettatori con un dolce omaggio per tutti.
Sede dei concerti: Auditorium Fondazione Bottari Lattes, Monforte d’Alba, Via Marconi 16
Info al pubblico: 0173.789282 – segreteria@fondazioneb
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Conversazione di Livio Partiti con Valentina Parlato
ANDRE' SCHIFFRIN
"IL DENARO E LE PAROLE"
VOLAND EDIZIONI
a cura di Valentina Parlato
postfazione di Guido Rossi
Lontano dal catastrofismo dominante e dall’ottimismo ebete, André Schiffrin traccia possibili strade per salvaguardare l’indipendenza dell’editoria, delle librerie, del cinema e della stampa, incitandoci a prendere coscienza del fatto che non siamo né impotenti né condannati al solo consumo di best seller, di giornali asserviti o di televisioni inette. Il denaro conquisterà le parole? La risposta, ci spiega l’autore, dipende da ognuno di noi.
"LIBRI IN FUGA. ITINERARIO POLITICO FRA PARIGI E NEW YORK"
VOLAND EDIZIONI
IL POSTO DELLE PAROLE
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Conversazione di Livio Partiti con Rosetta Loy
“Si dimentica perché fa comodo, ed è criminale. E si dimentica per pigrizia, il che è stupido. La conoscenza di quanto accaduto è infatti l’unico strumento che abbiamo per distinguere il luogo dove ci capita di vivere. È la bussola che ci permette di orientarci.”
Rosetta Loy
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IL POSTO DELLE PAROLE
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Conversazione di Livio Partiti con Paola Azzolina
PAOLA AZZOLINA
"LE TUE TORTE D'AUTORE"
DE AGOSTINI
Fantasia, creatività, cura dei dettagli nelle straordinarie torte di Paola Azzolina, giovane e già affermata cake designer dal gusto raffinato e unico. Un libro per gli appassionati di cake design come per chi muove i primi passi in questa particolarissima arte dolciaria, ricco di spunti e di consigli per realizzare biscotti e torte decorate, con soggetti originali, divertenti e sempre di grande effetto.
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IL POSTO DELLE PAROLE
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Conversazione di Livio Partiti con Nicoletta Polla Mattiot
NICOLETTA POLLA MATTIOT
"PAUSE"
Sette oasi di sosta, sull'orizzonte del silenzio.
MIMESIS EDIZIONI
Ci sono momenti in cui le parole non bastano. A volte sono troppo strette per contenere quello che si prova, immensamente più bello o drammaticamente più brutto rispetto a quanto si può esprimere. A volte sono troppo statiche per seguire i mutamenti improvvisi dell’animo, la rapidità dei pensieri. Si ammutolisce per amore, meraviglia, rimpianto, perdita, indignazione, passione... Sono questi i momenti in cui lasciar parlare il silenzio e ascoltare fra le pieghe dell’inespresso. Ci si affaccia a un confine, a una soglia, quel “mentre”, quell’attimo di sospensione (dal rumore, dall’abitudine a dire) in cui tutto può succedere e il silenzio può diventare scoperta, scelta comunicativa e azione, non del fare, dell’essere. Pronti a partire per un viaggio in cui contano soprattutto le fermate, e con insoliti compagni di avventura…
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Conversazione di Livio Partiti con Marina Fabbri
MARINA FABBRI
DIREZIONE ARTISTICA
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Conversazione di Livio Partiti con Marco Buticchi
È il 1985 e l’Italia è da tempo sull’orlo della destabilizzazione. La tensione è provocata da un semplice simbolo: una stella a cinque punte. Ma, alla sua ombra, si concentrano connivenze, intrighi internazionali, alleanze inconfessabili, misteri e insabbiamenti. Sara Terracini non sa ancora quanto le oscure trame del terrorismo la toccheranno da vicino: è il giorno della sua laurea, e Sara è alle prese con una verità sconvolgente. I suoi studi sul Laocoonte, il famoso gruppo statuario attribuito alla produzione classica, indicano che la mano che l’ha scolpito potrebbe invece appartenere a uno degli artisti più famosi di ogni tempo...
È il 1487 e il giovane Michelangelo Buonarroti, a bottega dal Ghirlandaio, si distingue sia per il talento incontrastato sia per il carattere impetuoso e irriverente. Un carattere che, insieme all’invidia e all’avidità che da sempre circondano gli accoliti dei potenti, negli anni lo porterà a guadagnarsi non pochi nemici. Ma è una burla senza precedenti, un falso di sua creazione, a rischiare di fargli perdere tutto. E a poco o nulla servirà nascondere i bozzetti del Laocoonte che potrebbero incriminarlo. Anzi, proprio da questo ha inizio una scia di morte che arriva...
...fino ai giorni nostri, sino cioè agli Anni di Piombo, e sino a mettere in pericolo la vita di Sara Terracini. E se i bozzetti di Michelangelo fossero un tesoro servito a finanziare le operazioni più inconfessabili del terrorismo? Il segreto sta per riaffiorare e travolgere decine di inconsapevoli protagonisti. Insieme a un inaspettato personaggio, Sara è costretta ad affrontare una corsa contro il tempo per cercare di impedirlo...
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"«Egregio rettore, sono convinta che il gruppo del Laocoonte sia uno dei grandi falsi della storia dell’arte. Un falso che ha tutte le caratteristiche di un’opera rinascimentale.»
«Signorina Terracini... riconosco che sia legittimo diritto di chiunque esprimere le proprie ipotesi, ma in questa sede la pregherei di tenere per sé certe illazioni. Mi meraviglia molto che un’affermazione così azzardata provenga da una studentessa con il suo curriculum...»
Sara si rese conto che le cose si stavano mettendo male. Seduto tra i membri della commissione, il professor Caselli, con cui aveva preparato la tesi, scuoteva la testa rassegnato: l’aveva avvertita più volte di non tirare fuori quella storia, specialmente in presenza del rettore..."
Marco Buticchi è nato alla Spezia e ha viaggiato moltissimo per lavoro, nutrendo così anche la sua curiosità, il suo gusto per l’avventura e la sua attenzione per la storia e il particolare fascino dei tanti luoghi che ha visitato. È il primo autore italiano pubblicato da Longanesi nella collana «I maestri dell’avventura», accanto a Wilbur Smith, Clive Cussler e Patrick O’Brian. A dicembre 2008 è stato nominato Commendatore dal Presidente della Repubblica per aver contribuito alla diffusione della lingua e della letteratura italiana anche all’estero. La voce del destino (2011) è stato finalista al Premio Bancarella 2012 e ha vinto il Premio Salgari 2012.
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Conversazione di Livio Partiti con Giulio Leoni
GIULIO LEONI
IL TESTAMENTO DEL PAPA
EDITRICE NORD
Roma, 999. La fine è vicina. Impaurito e disorientato, il popolo aspetta l’alba del nuovo millennio, ammaliato dai predicatori eretici che annunciano il giudizio universale. Incoronato papa da pochi mesi, Silvestro II sa bene tutto ciò, eppure dedica gran parte del suo tempo al dono inviatogli dall’imperatore d’Oriente: una statua che emette un suono simile a un canto. Ed è a quella macchina meravigliosa che Silvestro decide di affidare la sua eredità, un’eredità destinata a segnare i secoli a venire…
Roma, 1928. La città sta cambiando volto. I faraonici progetti urbanistici voluti da Mussolini sono una grande opportunità per tutti gli architetti della capitale. Per tutti, tranne uno: fuori dal giro che conta, Cesare Marni si guadagna da vivere trafficando in oggetti d’antiquariato e, un giorno, viene avvicinato da un operaio che gli mostra la fotografia di una statua. L’uomo sostiene di averla trovata durante gli scavi nell’area dei Fori Imperiali e vuole sapere quanto vale. Incuriosito, Marni inizia le ricerche ed entra in contatto con un eccentrico professore, convinto che quella sia la leggendaria statua di Silvestro II, custode di un grande segreto. Ma, quando l’operaio viene barbaramente ucciso, Marni capisce che quella scoperta ha messo in moto una catena di eventi molto pericolosi, dietro cui si muovono personaggi oscuri e agenti dei servizi di mezza Europa.
Perché a Roma è cominciata una caccia che potrebbe segnare le sorti del prossimo, ineluttabile conflitto mondiale. Un conflitto che qualcuno sta aspettando da quasi mille anni…
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Conversazione di Livio Partiti con Davide Sannazzaro
MOSTRA DEL LIBRO DI CAVALLERMAGGIORE
DAVIDE SANNAZZARO - ASSESSORE ALLA CULTURA
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Conversazione di Livio Partiti con Daniela Crovella
dal 14 Dicembre 2013 al 16 Febbraio 2014
Torino
Luogo: Palazzo Barolo
Enti promotori:
Costo del biglietto: intero € 5, ridotto €3/ € 2
Telefono per informazioni: 800911549
Sito ufficiale: http://www.mostraorigami.it
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Conversazione di Livio Partiti con Ivano Ferrari
IVANO FERRARI
"LA MORTE MOGLIE"
EINAUDI EDITORE
Questa raccolta - composta di due parti scritte a trent'anni di distanza l'una dall'altra - mostra la necessità e la coerenza di tutto l'arco poetico di Ivano Ferrari.
La prima parte (Le bestie imperfette) contiene poesie ritrovate su un vecchio quaderno scritto all'epoca di Macello. In un «tempo animale» si muovono figure colte al limite della morte e anche oltre, i carnefici mortali e le bestie morenti, i loro «gesti supremi», il puledro ucciso mentre è ancora «sporco di madre», gli animali che «muso contro muso | si scambiano le lingue» prima di morire, la mano che fruga nelle viscere («cosí piccola e calda | in mano mia | la morte»), la farfalla che si posa sulla mano di chi sgozza e poi vola via «verso altri modi di morire». La seconda parte contiene poesie scritte in morte della moglie. Dopo il dolore animale, siamo qui di fronte al dolore umano. Il titolo (La morte moglie), cosí calzante e assoluto, potrebbe essere il titolo generale di tutta l'opera di questo poeta, che qui si trova vicino alla moglie morente. Sono uno di fronte all'altra («io sono quello che non ha il biglietto | tu la polena col tumore»), da pari a pari («allora guardami bene in faccia | vivere da morti non è difficile»). Siamo nel regno dell'agonia e della morte, dove anche la poesia partecipa di questa terribile compressione («muore sta morendo la materia | enorme ombra d'alfabeto»). Laconica per troppo accumulo, sarcastica per troppo dolore, sgraziata per troppa grazia, la voce di questo poeta è una di quelle che, una volta sentite, non si dimenticano piú. Se non vivessimo in un paese di morti, questa voce dissonante e unica non sarebbe solo una voce marginale intesa da pochi ma voce centrale della poesia italiana di questi anni.
Antonio Moresco
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Ivano Ferrari è nato a Mantova nd 1948. Ha esordito nell'antologia Nuovi poeti italiani 4 (Einaudi 1995). Sempre da Einaudi ha poi pubblicato le raccolte La franca sostanza del degrado (1999), Macello (2004) e La morte moglie (2013). Un altro suo libro di poesie, Rosso epistassi, è stato pubblicato da Effigie nel 2008.
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Conversazione di Livio Partiti con Alice Di Stefano
ALICE DI STEFANO
"PUBLISHER"
FAZI EDITORE
Conversazione di Livio Partiti con Giovanni Valentini
GIOVANNI E NICCOLO' VALENTINI
"VOTO DI SCONTRO"
LONGANESI
Che cosa accade in una famiglia, quando un padre sessantacinquenne, elettore critico del centrosinistra, si confronta con un figlio trentatreenne attivista militante del Movimento 5 Stelle? Ne vien fuori uno scontro fervido e fecondo tra visioni radicalmente opposte della vita pubblica, tra realismo e utopia, fede e ragione, purezza e ricerca del compromesso, partecipazione e autorevolezza.
Il padre incalza, critica il linguaggio intimidatorio verso la stampa, le epurazioni interne, lo strapotere di Grillo e Casaleggio. Il figlio non si tira indietro, cerca di svelare quelle che ai suoi occhi sono mistificazioni, evidenzia la coerenza del movimento, esalta la democrazia interna, ribadisce la necessità di abbattere prima di costruire. E aggredisce. In primo luogo il mondo da cui proviene il padre, il giornalismo, incapace di capire i nuovi mezzi di comunicazione, assuefatto alle connivenze con la politica e alla consuetudine del potere. Ma dietro la rabbia e le provocazioni, dietro l’adesione totale e rivendicata alle parole d’ordine del movimento, emerge la frustrazione di fronte a un popolo immancabilmente pronto a innamorarsi di un nuovo uomo del destino; l’orgoglio ferito di chi vorrebbe più spazio per la propria generazione, ma poi la scopre impaurita e impreparata; il disappunto verso una nazione incapace di formare le nuove classi dirigenti e di favorire il ricambio tra vecchi e giovani, verso un Paese in cui ogni reale cambiamento sembra poter avvenire solo tra le macerie lasciate da chi ci ha preceduto.
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"Questo libro non appartiene al genere letterario del dialogo tra padri e figli, con annesse incomprensioni generazionali, risvolti psicologici complicati, distanze nel linguaggio. E un’altra cosa. E un confronto tra contemporanei di età diversa, forse addirittura tra ragione e fede, comunque una ricerca comune di criteri interpretativi della realtà che abbiamo di fronte."
dalla prefazione di Stefano Rodotà
Giovanni Valentini è giornalista e autore di numerosi libri. Scrive per la Repubblica dalla fondazione: è stato inviato speciale, capo della redazione milanese e vicedirettore. Tiene la rubrica «Il Sabato del Villaggio», con cui ha vinto il Premio Saint-Vincent di Giornalismo nel 2000. Ha diretto i settimanali L’Europeo e L’Espresso, oltre ai quotidiani veneti Il Mattino di Padova e La Tribuna di Treviso. In precedenza, aveva lavorato per La Gazzetta del Mezzogiorno e per Il Giorno.
Niccolò Valentini è laureato in Ingegneria delle telecomunicazioni al l’Università La Sapienza ed è marketing manager in una delle più grandi aziende editoriali italiane. Nel 2012, ha pubblicato A tempo indeterminato, libro autobiografico che tratta i temi del lavoro precario e dello stallo economico legato alla crisi globale.
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Conversazione di Livio Partiti con Massimo Rizzante
MILAN KUNDERA
"LA FESTA DELL'INSIGNIFICANZA"
TRADUZIONE DI MASSIMO RIZZANTE
ADELPHI EDIZIONI
Gettare una luce sui problemi più seri e al tempo stesso non pronunciare una sola frase seria, subire il fascino della realtà del mondo contemporaneo e al tempo stesso evitare ogni realismo – ecco La festa dell'insignificanza. Chi conosce i libri di Kundera sa che il desiderio di incorporare in un romanzo una goccia di «non serietà» non è cosa nuova per lui. Nell'Immortalità Goethe e Hemingway se ne vanno a spasso per diversi capitoli, chiacchierano, si divertono. Nella Lentezza, Vera, la moglie dell'autore, lo mette in guardia: «Mi hai detto tante volte che un giorno avresti scritto un romanzo in cui non ci sarebbe stata una sola parola seria ... Ti avverto però: sta' attento». Ora, anziché fare attenzione, Kundera ha finalmente realizzato il suo vecchio sogno estetico – e La festa dell'insignificanza può essere considerato una sintesi di tutta la sua opera. Una strana sintesi. Uno strano epilogo. Uno strano riso, ispirato dalla nostra epoca che è comica perché ha perduto ogni senso dell'umorismo. Che dire ancora? Nulla. Leggete!
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Conversazione di Livio Partiti con Vittorio Sgarbi
C’è un’Italia protetta e remota a Morano Calabro, a Vairano, a Rocca Cilento, a Vatolla, a Giungano, a Torchiara, a Perdifumo, incontaminati presidi del Cilento. Poi ci sono le apparizioni. Come gli affreschi di Sant’Angelo in Formis, come il duomo di Anagni con il quale si apre il racconto pittorico di questo libro, anche se i primi segnali della lingua nuova, diretta, espressiva, sapida, sono nella scultura, a partire da Wiligelmo a Modena in parallelo con i primi vagiti della lingua italiana. Quei confini nei quali sono ristretti a coltivare i campi, cacciati dal Paradiso terrestre, Adamo ed Eva. Poco più tardi vedremo altri contadini affaticati, di mese in mese, nel Battistero dell’Antelami a Parma. Soltanto a Ferrara il lavoro sembrerà riservare una imprevista felicità. Il Maestro dei Mesi trasmette il piacere che ha provato estraendo fanciulli dalla pietra. Siamo nel 1230, in largo anticipo sul ritrovamento della vita nella pittura, prima ancora che in Toscana, nel cuore della Valle Padana, a Cremona, con il racconto delle storie di Sant’Agata di un maestro anonimo; non sarà un caso che la nuova lingua toscana in pittura si espanda fino a Padova con Giotto nella Cappella degli Scrovegni, e di lì in tutto il Nord. Siamo in apertura del Trecento, e diventa lingua universale quella che ha iniziato a parlare Giotto, ponendosi davanti le energie dei corpi e la loro azione, con una tale efficacia da determinare quasi un secolo di imitatori, le cui gesta noi parzialmente raccontiamo accompagnando il viaggiatore e il lettore in Toscana e altrove, fino ad arrivare, in chiusura di secolo, a Lorenzo Monaco, sfinito interprete di un gotico fiorendo. E che fiorirà – eccome fiorirà! – e sarà l’ultimo giardino, perché con la vita vera si confronterà, con la stessa energia del Giotto franco, consistente e dominante con la sua umanità, il giovane Masaccio. Dopo questo lungo travaglio la pittura italiana entra nella sua piena maturità. Di tante tappe, allora, verso la felicità espressiva nel Rinascimento, questo libro, come una lunga avventura, dà conto in una continua sorpresa. Vittorio Sgarbi
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Conversazione di Livio Partiti con Vincenzo Gatti
A vent’anni dalla scomparsa e a ridosso del centenario della nascita di Mario Calandri (1914-1993), la Fondazione Bottari Lattes ricorda l’artista con una rassegna di opere scelte presso lo Spazio Don Chisciotte di Torino.
Curata da Vincenzo Gatti, l’esposizione inaugura martedì 26 novembre alle ore 18 e sarà aperta al pubblico fino a sabato 25 gennaio 2014 (orario: martedì-giovedì 15,30-19,30; venerdì e sabato 10-12,30 e 15,30-19,30).
La mostra presenta una ventina di opere pittoriche e grafiche, a sottolineare la rilevanza della figura di Calandri non solo nell’ambito della grafica incisa (di cui è considerato tra i massimi esponenti del Novecento), ma anche nel panorama della pittura del secolo scorso.
Artista capace, come pochi altri, di modellare la dimensione privata per farne teatro e metafora dell’intero mondo, Calandri – spiega Vincenzo Gatti – trova nella pittura, così come nell’incisione, il terreno fertile dove far vivere le sue fantasie: senza ombra di sentimentalismi né languori costruisce un universo dove il mistero dell’esistenza viene osservato (fino alle conseguenze più intime) con tenero stupore. Anche il gioco della memoria diventa pretesto per ritrovarsi, come in un’immagine riflessa, nelle presenze di oggetti, animali, figure, fantasmi illusori e allusivi.
Tutto poi è padroneggiato con una tecnica pittorica fulminante e sapientissima, che trascorre dall’acquerello all’olio, sapendone distillare, con magistrale libertà, gli umori più evocativi.
Nelle opere in mostra saranno presenti i temi più consueti dell’ispirazione Calandriana: le giostre, i baracconi-teatrini misteriosi e ambigui, le figure sospese tra realtà e finzione, i fiori che, anche nell’austero linguaggio dell’incisione, trepidano di ricordi e s’ammantano di riflessi lunari, i bagni popolati da svelte figurette di adolescenti.
Personalità appartata e schiva, egli tuttavia è ben attento alla contemporaneità: non ha bisogno di viaggi impegnativi per cogliere le sollecitazioni che gli vengono dal mondo dell’arte, ma sa filtrare con una libertà d’invenzione che ha pochi paragoni, gli stimoli più fecondi per la sua arte.
Per questo le sue opere, nella globalità dei linguaggi, stupiscono per l’unione di sentimento e tecnica, moti e forme, modernità e tradizione.
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Mario Calandri (Torino, 1914-1993) compie i primi studi artistici tra Firenze e Torino, dove torna nel 1932 e frequenta l’Accademia di Belle Arti, diplomandosi in pittura nel 1939 con Cesare Maggi, che lo richiede come assistente nel 1942. Dopo la parentesi bellica tuttavia sceglie l’assistentato con l’amatissimo maestro Marcello Boglione, responsabile, dal 1934, della rinata Scuola di Tecniche dell’Incisione dell’Albertina. Alla morte di Boglione (1957) gli succede come incaricato. Nel 1963 (dopo una breve parentesi a Brera) ottiene la cattedra nell’istituzione torinese, dove rimarrà fino al 1977, segnando con il suo magistero intere generazioni di incisori.
Nel 1940 esordisce alla Biennale di Venezia, risultando vincitore al Concorso Nazionale per l’affresco. In seguito sarà presente alla Biennale nel 1950, nel 1952 e nel 1958 con una personale. Nel 1960 gli viene assegnato il Premio per l’incisione all’ottava Quadriennale di Roma, e nel 1968 il Premio Internazionale della Grafica alla Biennale di Firenze.
Numerosissime sono le partecipazioni alle più significative rassegne nazionali e internazionali della grafica incisa, mentre rare e meditate sono le personali di pittura (tra le altre, nel 1964 a “La Bussola” di Torino, nel 1967 a Milano alla Galleria Gianferrari).
Soltanto in tempi recenti varie istituzioni hanno dedicato a Calandri importanti retrospettive, dando pieno riconoscimento alla figura dell’artista, pittore e incisore. (Trieste, 1992; Bari, 1993; Milano, 1995; Aosta, 1998; Torino, 2001; Cherasco, 2010).
Info al pubblico: 011 19771755 – [email protected]
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Conversazione con Mariano Tomatis, IncanTo, Circolo dei Lettori Torino
Città magica per eccellenza, Torino il 6, 7, 8 e 9 dicembre si trasforma in capitale dell’illusionismo con IncanTo. Torino città di prestigio, rassegna di magia per tutti: grandi, piccini, maghi professionisti, amatori, studiosi e curiosi. Incontri al Circolo dei lettori con i maggiori artisti magici italiani, laboratori per le scuole e i bambini, numeri di close up in via Lagrange, L’affascinante arte della fuga, performance di escapologia in Piazza Castello sabato 7 dicembre ore 17.00 e gran finale, lunedì 9 dicembre ore 21 al Teatro Regio, con il Gran galà di magia, spettacolo delle meraviglie con Arturo Brachetti, regista della serata sul palco insieme a Alexander, Gaetano Triggiano, Luca Bono, Luca&Tino, Francesco Scimemi.
IncanTo. Torino città di prestigio è realizzato da il Circolo dei lettori, Regione Piemonte, Città di Torino, Teatro Regio, in collaborazione con Circolo Amici della Magia di Torino, Arte Brachetti; main sponsor Galup, Banca Generali; sponsor Centro Gioco Educativo, Sisvel Technology, Teleweb; la via della Magia è realizzata grazie al contributo di Caffè Vergnano, Guido Gobino e Pastificio Defilippis; partner tecnici Calabrese Autogru, il Catering.net, Mirafiori Motor Village, Quarta Rete. Si ringrazia Starhotel Majestic.
IncanTo fa parte del programma A Torino un Natale coi fiocchi della Città di Torino realizzato grazie al contributo di Iren Energia, Fondazione CRT e Camera di Commercio, Industria e Artigianato di Torino.
Tra leggende e verità storiche, il rapporto tra la città e la magia incuriosisce anche i più scettici: Torino è la capitale indiscussa dell’illusionismo. Qui è nato Bartolomeo Bosco, il più importante prestigiatore di tutti i tempi che nell’ottocento ha incantato le corti d’Europa; sempre qui hanno mosso i primi passi artistici personaggi del calibro di Arturo Brachetti, Alexander, Marco Berry e oggi il giovane Luca Bono; a Torino infine ha sede il Circolo Amici della Magia (CADM), una delle associazioni magiche più attive al mondo. Il CADM ha mantenuto il primato anche nei tempi più recenti affermandosi come una vera e propria fucina di talenti illusionistici.
Partendo da questi elementi, la rassegna IncanTo esplora il complesso e suggestivo legame che unisce Torino e il suo territorio alla magia, raccontandone gli aspetti storici, scientifici, le curiosità, senza rinunciare a incantare il pubblico.
“Con IncanTo. Torino Città di prestigio il Circolo dei lettori – dichiara l’Assessore alla cultura della Regione Piemonte Michele Coppola - si conferma motore culturale capace di aggregare diversi soggetti, pubblici e privati, del nostro territorio per costruire un programma di eventi e appuntamenti, questa volta nel segno della magia e dell’illusionismo, aperto a tutti: grandi, piccini, appassionati, curiosi e studiosi".
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www.circololettori.it
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Conversazione di Livio Partiti con Giovanni Soldini
Il 31 dicembre 2012 Giovanni Soldini parte da New York a bordo del VOR 70 Maserati con un equipaggio internazionale di otto uomini. Scopo dell’impresa è stabilire il nuovo record sulla mitica Rotta dell’Oro: da New York a San Francisco passando per i tempestosi flutti di Capo Horn.
Dopo 47 giorni di concentrazione, resistenza e passione, e 13.225 miglia percorse su due oceani, il 16 febbraio 2013 Maserati e il suo equipaggio tagliano la linea del traguardo sotto il Golden Gate Bridge. Portando a termine un’impresa davvero straordinaria, Soldini e i suoi compagni riescono così ad aggiudicarsi il record della Rotta dell’Oro nella categoria monoscafi battendo di ben dieci giorni il primato precedente. Questo «diario di bordo», che oltre alle immagini della partenza e dell’arrivo comprende più di duecento fotografie scattate nel corso della navigazione, è non solo l’appassionante cronaca di un record, ma anche la dimostrazione che il gusto della sfida e il desiderio di avventura non appartengono soltanto al ricordo dei secoli passati ma sono ancora vivissimi ai giorni nostri.
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Giovanni Soldini è nato a Milano nel 1966 e ha cominciato a navigare in barca a vela da bambino. Ha alle spalle più di vent’anni di regate oceaniche, due giri del mondo in solitario e più di trenta transoceaniche. A bordo di Maserati, oltre a quello della Rotta dell’Oro, ha stabilito il record Cadice-San Salvador. Quando non è impegnato nelle regate, vive a Santo Stefano di Magra, vicino a La Spezia.
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Conversazione di Livio Partiti con Rita Bignante
RITA BIGNANTE
"UN INCANTESIMO LUNGO UNA NOTTE"
LA CARAVELLA
Una storia cadenzata da atmosfere musicali che trovano la loro eco negli stati d’animo dei protagonisti. Una “favola” moderna dal “sapore antico”, letta attraverso una “lente” molto particolare… Un percorso di “ricerca” con un epilogo assolutamente a sorpresa…
Un libro da assaporare lentamente come le vite dei personaggi principali che con imprevisti emozionali, direzioni incognite e rimbalzi anche azzardati sono in continua evoluzione. Il romanzo è vibrante di provocazioni e spunti riflessivi. Il testo, oltre che per la modernità che lo caratterizza, si presenta accessibile e vicino ad un’ampia fascia di lettori.
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Conversazione di Livio Partiti con Irene Annoni
JESSICA BROCKMOLE
"NOVEMILA GIORNI E UNA SOLA NOTTE"
TRADUZIONE DI IRENE ANNONI
EDITRICE NORD
Cara figlia mia,
tu non hai segreti, ma io ti ho tenuto nascosta una parte di me. Quella parte si è messa a raschiare il muro della sua prigione. E, nel momento in cui tu sei corsa a incontrare il tuo Paul, ha cominciato a urlare di lasciarla uscire. Avrei dovuto insegnarti come indurire il cuore; avrei dovuto dirti che una lettera non è mai soltanto una lettera. Le parole scritte su una pagina possono segnare l’anima. Se tu solo sapessi...
E invece Margaret non sa. Non sa perché Elspeth, sua madre, si sia sempre rifiutata di rispondere a qualsiasi domanda sul suo passato, limitandosi a mormorare: «Il primo volume della mia vita è esaurito», mentre gli occhi le si velavano di malinconia. Eppure adesso quel passato ha preso la forma di una lettera ingiallita, l’unica che Elspeth ha lasciato alla figlia prima di andarsene da casa, così, improvvisamente, senza neppure una parola d’addio. Una lettera che è l’appassionata dichiarazione d’amore di uno studente americano, David, a una donna di nome Sue. Una lettera che diventa, per Margaret, una sfida e una speranza: attraverso di essa, riuscirà infine a svelare i segreti della vita di sua madre e a ritrovarla?
Come fili invisibili, tirati dalla mano del tempo, le parole di David conducono Margaret sulla selvaggia isola di Skye, nell’umile casa di una giovane poetessa che, venticinque anni prima, aveva deciso di rispondere alla lettera di un ammiratore, dando inizio a una corrispondenza tanto fitta quanto sorprendente.
La portano a scoprire una donna ostinata, che ha sempre nutrito la fiamma della sua passione, che non ha mai permesso all’odio di spegnerla.
La guidano verso un uomo orgoglioso, che ha sempre seguito la voce del suo cuore, che non si è mai piegato al destino.
Le fanno scoprire un amore unico, profondo come l’oceano che divideva Elspeth e David, devastante come la tragedia che incombeva su di loro, eterno come i novemila giorni che sarebbero passati prima del loro incontro…
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«I protagonisti hanno due voci così chiare, così vere. Sembrano provenire dal mondo reale. Mi hanno fatta prigioniera nel giro di poche righe.»
Cristina De Stefano, ELLE
«Una trascinante storia d’amore, che celebra il potere della speranza, il suo trionfo, a dispetto del tempo e delle tragedie.»
Vanessa Diffenbaugh,
autrice del bestseller Il linguaggio segreto dei fiori
«La straordinaria storia di un amore che né il tempo né la distanza ha saputo distruggere… Jessica Brockmole mescola sapientemente i meravigliosi paesaggi della Scozia, la tragedia della guerra e i rimpianti di una famiglia distrutta dai segreti e dai tradimenti, dando vita a un affresco grandioso.» Publishers Weekly
«Un’appassionata dichiarazione d’amore alla parola scritta. Perché una lettera non è mai solamente una lettera…»
USA Today
«Poetico, evocativo e commovente. Un romanzo che mostra con raffinata maestria la forza travolgente del vero amore.» Kirkus Reviews
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Conversazione di Livio Partiti con Massimo Scotti
Il tema della casa “infestata” o “stregata”, della dimora invasa dai fantasmi, è ricorrente nella letteratura fin dall’antichità ed è diventato un sottogenere nel cinema horror. Dell’argomento però – e questo è poco noto – si interessa anche il diritto romano e moderno, per evidenti motivi economici. Infatti, se un appartamento venduto e affittato presenta una simile particolarità, il suo valore commerciale diminuisce o viene messo in dubbio. Il libro offre una descrizione del tema a più livelli, fra cronaca e tradizione, antropologia e costume, scienza e storia delle idee: i concetti di fantasma e di spirito inquieto si manifestano e si modificano nella cultura, non solo occidentale, riflettendo le mentalità delle diverse epoche, il rapporto con la concezione dell’aldilà e la questione dell’immortalità dell’anima comune a molte religioni. A complicare il problema interviene, verso la metà dell’Ottocento, in piena età positivista, il fenomeno dello spiritismo, che coinvolgerà sorprendentemente anche filosofi e scienziati alle prese con i medium, cioè le persone in grado di comunicare con i morti. Questo libro offre un repertorio di conoscenze e di quesiti ancora aperti, basandosi su fatti storicamente accertati e scoprendo qualche caso davvero insolubile, in un excursus culturale curioso e colto.
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Massimo Scotti è ricercatore di Letteratura francese e insegna presso le università Kore (Enna) e Iulm (Milano). Ha pubblicato saggi che trattano delle poetiche del Novecento (fra cui Ces vipères de lueurs: Il mito ofidico nell’immaginario valériano, 1996) e delle rappresentazioni dell’Italia nella letteratura di viaggio (Sul mare degli Dei: Mitografia dell’isola di Capri, 2002; Gotico mediterraneo, 2007). Fra i suoi libri per ragazzi: Alla conquista del passato (con Giovanna Zoboli; 1994) e L’ora blu (2009). Per Feltrinelli ha tradotto Una notte al club (2004) di Christian Gailly e La democrazia e il mercato (2004) di Jean-Paul Fitoussi e ha pubblicato Storia degli spettri. Fantasmi, medium e case infestate fra scienza e letteratura (2013).
IL POSTO DELLE PAROLE
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Conversazione di Livio Partiti con Roberto Cazzola
ETTY HILLESUM
LETTERE
edizione integrale
cura editoriale di Roberto Cazzola
Il Diario di Etty Hillesum ha commosso i lettori di tutto il mondo, ed è ormai considerato fra le testimonianze più alte delle vittime della persecuzione nazista. Ora la versione integrale delle Lettere, scritte in gran parte dal lager di Westerbork – dove Etty andò di sua spontanea volontà, per portare soccorso e amore agli internati, e per «aiutare Dio» a non morire in loro –, ci permette di udire la sua voce fino all'ultimo, fino alla cartolina gettata dal vagone merci che la conduce ad Auschwitz: «Abbiamo lasciato il campo cantando». A Westerbork Etty vive «l'inferno degli altri», senza «illusioni eroiche», recando parole vere là dove il linguaggio è degradato a gergo, là dove i fossati del rancore dividono gli stessi prigionieri, contrapponendo ebrei olandesi a ebrei tedeschi. La resistenza al male si compie in lei attraverso l'amicizia – nata nel campo o mantenuta viva con chi è rimasto libero e manda viveri e lettere –, attraverso la fede e grazie ai libri (come le poesie di Rilke) e alla natura: anche sopra le baracche corrono le nuvole e volano i gabbiani e brilla l'Orsa Maggiore. Per scrivere la storia del lager ci sarebbe voluto un poeta, non bastava la nuda cronaca, aveva detto un giorno un internato a Etty. Non sapeva che quel poema stava già prendendo forma, lettera dopo lettera. E che, da quel fazzoletto di brughiera recintata e battuta da turbini di sabbia, sarebbe giunto fino a noi rompendo un silenzio di decenni.
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Conversazione di Livio Partiti con Bruno Zanardi
Un patrimonio artistico senza racconta l’enorme confusione e il sempre più grave ritardo culturale in cui giacciono restauro, conservazione e tutela oggi in Italia. L’autore, Bruno Zanardi, conduce la propria narrazione da testimone diretto, quale è ormai da quasi mezzo secolo. E avanza molti e desolanti esempi: restauri grossolanamente sbagliati, perenne crisi formativa del settore, cementificazione dissennata del paesaggio. Ma avanza anche numerosi casi positivi, a dimostrazione di come la partita per dare un futuro al nostro patrimonio storico e artistico sia ancora del tutto aperta. A patto però che il Ministero dei beni culturali abbia il coraggio d’attuare una politica di tutela moderna ed efficiente, perché finalmente aperta a un lavoro comune con i Ministeri dell’Università e dell’Ambiente e con la ricerca scientifica dell’industria. Lavoro comune che attui quella conservazione preventiva e programmata in rapporto all’ambiente che sempre più appare l’unica azione di tutela in grado di consentire la salvaguardia e la cura del fondamentale carattere storico ed estetico del nostro patrimonio artistico: la sua indisgiungibilità dal paesaggio – urbano, agrario e naturale – in cui è andato stratificandosi in millenni.
Bruno Zanardi è uno dei più noti restauratori italiani. Ha lavorato su alcuni dei massimi monumenti della nostra civiltà figurativa: i rilievi dell’Ara Pacis e della Colonna Traiana, i mosaici paleocristiani e di Jacopo Torriti nella Basilica di Santa Maria Maggiore, gli affreschi e i mosaici del Sancta Sanctorum al Laterano di Roma, gli affreschi della Basilica di Assisi, i rilievi della facciata del Duomo di Orvieto. Nel 2001 ha fondato presso l’Università di Urbino il primo corso di laurea per la formazione dei restauratori, in cui è docente di Teoria e tecnica del restauro. Con Skira ha pubblicato numerosi volumi, da Il cantiere di Giotto (1996) fino a Il restauro. Giovanni Urbani e Cesare Brandi, due teorie a confronto (2009), e curato l’uscita degli scritti di Giovanni Urbani, Intorno al restauro (2000) e Per un’archeologia del presente (2012). Ha scritto la voce “Restauro” dell’Enciclopedia Treccani del Novecento (2004).
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Un patrimonio artistico senza racconta l’enorme confusione e il sempre più grave ritardo culturale in cui giacciono restauro, conservazione e tutela oggi in Italia. L’autore, Bruno Zanardi, conduce la propria narrazione da testimone diretto, quale è ormai da quasi mezzo secolo. E avanza molti e desolanti esempi: restauri grossolanamente sbagliati, perenne crisi formativa del settore, cementificazione dissennata del paesaggio. Ma avanza anche numerosi casi positivi, a dimostrazione di come la partita per dare un futuro al nostro patrimonio storico e artistico sia ancora del tutto aperta. A patto però che il Ministero dei beni culturali abbia il coraggio d’attuare una politica di tutela moderna ed efficiente, perché finalmente aperta a un lavoro comune con i Ministeri dell’Università e dell’Ambiente e con la ricerca scientifica dell’industria. Lavoro comune che attui quella conservazione preventiva e programmata in rapporto all’ambiente che sempre più appare l’unica azione di tutela in grado di consentire la salvaguardia e la cura del fondamentale carattere storico ed estetico del nostro patrimonio artistico: la sua indisgiungibilità dal paesaggio – urbano, agrario e naturale – in cui è andato stratificandosi in millenni.
Bruno Zanardi è uno dei più noti restauratori italiani. Ha lavorato su alcuni dei massimi monumenti della nostra civiltà figurativa: i rilievi dell’Ara Pacis e della Colonna Traiana, i mosaici paleocristiani e di Jacopo Torriti nella Basilica di Santa Maria Maggiore, gli affreschi e i mosaici del Sancta Sanctorum al Laterano di Roma, gli affreschi della Basilica di Assisi, i rilievi della facciata del Duomo di Orvieto. Nel 2001 ha fondato presso l’Università di Urbino il primo corso di laurea per la formazione dei restauratori, in cui è docente di Teoria e tecnica del restauro. Con Skira ha pubblicato numerosi volumi, da Il cantiere di Giotto (1996) fino a Il restauro. Giovanni Urbani e Cesare Brandi, due teorie a confronto (2009), e curato l’uscita degli scritti di Giovanni Urbani, Intorno al restauro (2000) e Per un’archeologia del presente (2012). Ha scritto la voce “Restauro” dell’Enciclopedia Treccani del Novecento (2004).
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IL POSTO DELLE PAROLE
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Conversazione con Vincenzo Latronico, Scrittori in Città
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Conversazione di Livio Partiti con Angelo Angelastro
Questo libro è il frutto di un meditato percorso: un viaggio intercontinentale attraverso i decenni. Da Cuba al Marocco, dalla Cina agli Stati Uniti, cento istantanee accompagnate da testi che interpretano il retroterra psico-sociale in cui sono state catturate le immagini.
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Conversazione di Livio Partiti con Alberto Melloni, Book City Milano
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Conversazione di Livio Partiti con Guido Scarabottolo
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Conversazione di Livio Partiti con Elisabetta Vergani
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Conversazione di Livio Partiti con Bruno Osimo
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